domenica 28 febbraio 2010

PROLOGO


« Ricordati, Signore, di Davide, di tutte le sue fatiche … » dice il Salmo 132.

Il ricordo è una facoltà divina dell’uomo.
Dobbiamo, infatti, ricordare perché ricordare vuol dire far vivere (o rivivere), significa eternare e custodire qualcosa con sé sempre. Infatti, non di tutto e tutti ricordiamo, ma se ricordiamo, di solito, è circa le necessità e le grandezze che ci occorrono. Tutta la bellezza della vita può valere un solo ricordo, un solo gesto, un attimo, una parola, un luogo, un viso noto che ritornano a parlarci.
Chi ricorda non muore e non fa morire. Quest’azione, che sia la “ corrispondenza d’amorosi sensi” dell’amore laico foscoliano, pentimento come nella teofania agostiniana o coro museo di ricordanze come per Leopardi, “Silvia, rimembri ancor …”, l’atto di riportare in vita dal fondo di un nebuloso passato quello che si pensava perduto ci indica chiaramente la natura divina del ricordo, come prima affermato. Esso perpetua ciò che altrimenti ha una natura fragile e vacua.
Con ciò non voglio cancellare, lungi da me tale proposito, un secolo e mezzo di poetiche dedite all’evanescenza del vivere, del credere, del pensare, ma alla luce della semplice riflessione che ricordare è eternare si può ben dire che ciò che ci sembra muoia non muore ed anzi vive molto longevo.
Se noi non ricordassimo l’Impero romano non ricorderemmo la loro civiltà. Né con Greci, Egizi, Fenici e Babilonesi ed indietro nel tempo. Noi, invece, li studiamo, e cerchiamo permanentemente un contatto con loro perché nel ricordo vivono vite interminabili e gagliarde che risplendono al nuovo sole del loro Essere.
Questo ho cercato di produrre; un ricordo, un’ansia di affondare le mie mani nella sementa che poi speravo di buttare. Descrivere il compiacimento dei sogni, l’entusiasmo della scoperta e della vita e renderne grazie. In fondo ricordare è anche ringraziare, per quello che ci è stato dato; ringraziare e benedire. Così diventa sempre più mellifluo il ricordo e sempre più eterea la sonorità delle altitudini alle quali ascendono i nostri intemerati e vaghi, speranzosi ed allegri e cari pensieri.

Nessun commento:

Posta un commento

Cerca nel blog